venerdì 31 marzo 2017

giovedì 30 marzo 2017

Il tuo mondo a portata di chiavi

Un'idea regalo utile e intelligente: i kit portachiavi, per dividere tra casa e macchina. O tra casa e seconda casa. o tra una macchina e l'altra. Voi iniziate a regalarli.
I kit sono già compresi di una simpatica scatoletta.


martedì 28 marzo 2017

Memoria al cioccolato -Alice IncartailMondo

Era partito il conto alla rovescia. Dall’alto dei suoi otto anni di vita, Federica non capiva bene cosa stesero contando. E poi era stanca, voleva andare a dormire e non voleva sentire i fuochi d'artificio. quindi quando iniziarono afferrò un lembo della giacca di suo padre e si mise a tirare.
-          Papaaa!!! Ho sonnooooo!!!
-          Dieci, nove, otto, sette…- ripeteva il padre un po’ alticcio.
-          Mammmaaaaa!! – ma anche lei era intenta nella conta.
-          Tre, due, uno….
Ad un tratto tutti si misero ad urlare, saltare, suonare con strane trombette. E poi partirono i fuochi d'artifico  quei botti continui la fecero piangere.  Senza ottenere nessun risultato. Mentre stava valutando il da farsi, si senti tocare la spalla.
-          - Ciao – disse un bambino
-         - Ciao – disse Federica voltandosi e stropicciandosi il naso sulla manica del vestitino della festa.
-          - Perché piangi? - disse curioso il bimbo.
-          Ho paura dei fuochi….voglio andare a casa. Tu chi sei?  - Chiese Federica lieta che qualcuno la considerasse.
-          - Mi chiamo Alessio – disse lui con fare da ometto, poi tutto orgoglioso allungo una mano. 
-          tieni questo è per te!, non piangere più però – e porse alla bimba un pacchettino.
Federica prese il pacchettino, lo guardò e lo scartò. Dentro c’era un cioccolatino incartato in una carta oro e circondato da un fogliettino bianco con sopra una lettera A stampata.
Federica, sorpresa e incredula, d’un tratto si sentì importante e felice. Non sapeva bene perché. Lo guardo e disse:
-         - io mi chiamo Federica,  giochiamo a nasconderci?- che nel linguaggio dei bambini significa anche “grazie”.
Poi si afferrarono per mano e tornano a giocare e festeggiare a modo loro il 31 dicembre, che quell’anno li ha voluti insieme. sparirono tra i tavoli e i palloncini.
Questo racconto inizia con un ricordo di bambini, che avrebbero dimenticato le facce ma mai quel momento di solidale complicità infantile.

Alessio non sopportava molto i matrimoni, perché andava sempre solo. I suoi amici ormai o erano tutti super fidanzati o conventi, se non sposati con prole.
Dove diavolo è il tavolo ”Magnolia”, pensava Alessio guardandosi attorno. Poi vide una bella ragazza alta con dei lunghi capelli lisci e mori. La notò perché sembrava un po’ spaesata, come lui. Quella figura gli ricordò qualcosa. Non seppe dirsi cosa, però.
-          - Scusa una domanda sai, dove sia il tavolo “magnolia”, disse Alessio toccandole il gomito per farsi notare.
-         - Come?...scusa…si… no, è che io ai matrimoni mi commuovo sempre -  disse lei voltandosi con gli occhi lucidi.
-          - Seguimi - continuò – anche io sono al tavolo magnolia.
Istintivamente lei lo afferrò per mano e lo portò in mezzo ad una selva di tavoli e palloncini. Ad Alessio parve di aver già vissuto quel momento ma ancora non sapeva dove, o quando. Forse un déjà-vu pensò.
-          - Ah!, io mi chiamo Federica –
-          - Piacere, Alessio -
La festa si teneva in un ristorante  di una cittadina qualsiasi, una domenica qualsiasi. I matrimoni sono feste dove è facile ritrovarsi a essere uno dei vari amici dei festeggiati, e cosi parli del più e del meno con qualcuno. Ingegnere lui, parrucchiera lei.
Loro due stavano parlando da circa un’oretta, Federica trovava Alessio particolarmente simpatico, con i suoi modi gentili ma un po’ sfrontati.
Gli ricordava qualcuno, ma chi? Un ex di una sua amica, forse. No. eppure quei due occhioni nocciola li aveva gia visti. O forse più semplicemente gli ricordava Bambi.
- beh… io esco a fare 2 passi- dice a un certo punto Federica,- vado a prendere una boccata d’aria-, Guardò Alessio - vieni?
- ma si dai- 

I due passi iniziarono, quando Federica tirò fuori dalla tasca una scatoletta metallica color argento, da cui estrasse un cigarillos.
- sigarette strane- disse Alessio incuriosito.
- si sono dei sigarini, sigari grandi come una sigaretta. Si sente l’aroma del tabacco e non quelle robe chimiche.... Federica si bloccò e si mise a frugare nella borsa come se fosse senza fondo. - Ma dove ho ficcato l'accendino- preoccupata di averlo perso. Quell'accendino d'oro era un caro ricordo di suo padre spiegava  lei ad Alessio con un tono piagnucoloso.   -Trovato!- Ma mentre lo estraeva le scivolò dalle mani cadendo a terra.  --  Ma…che cavolo!-  Esclamò lei.
Prontamente Alessio lo raccolse - tieni questo è per te!,  non piangere più però – disse lui con fare sarcastico porgendole l'accendino.

Federica per un attimo si blocca, immobile come una statua in un teatro inerme. Prende piano quell’ involucro oro e lo guarda e riguarda Alessio. Ristudia i suoi riccioli, la sua mano aperta con il cioccolatino e il suo sguardo, di bambino.
 -come hai detto che ti chiami?-
 -Alessio- risponde lui un po' stupito.
 -e sei mai stato all hotel Europa di Nogara?-
 - una volta- rispose lui -ero piccolo. Un capodanno ora che ricordo e ho incontrato una bimba e....- Ora anche lui ricordava.
Jung diceva che ciò che non riaffiora come conscio, riaffiora come fato.
Quel gesto aveva risvegliato in loro il ricordo di infanzia. Quel momento di spensierata giocosità.  Senza altre parole Federica lo abbracciò e  Alessio allo stesso modo l'accolse tra le sue. Come se non volessero far più scappare il senso di allegria che per tanti anni era rimasto sopito infondo alla loro memoria.  Allo stesso modo in cui si cerca di afferrare qualcosa che non si vuole più  che scappi dalle mani…


-Ovviamente-, mi dice Federica -non è che ci sposiamo solo perché ci siamo rincontrati dopo 30 anni. Da quel giorno abbiamo iniziato a frequentarci e conoscerci. Ed ora eccoci qua.
 -bene, quando vi sposate?-
 -secondo lei?- mi chiede Alessio sorridendo sornione alla mia domanda
 -il 31 dicembre?- chiedo giusto per essere sicura.
 -esatto! Però del resto, ristoranti, abiti e cose così non sappiamo decidere… quello che sappiamo è che vorremmo rivivere quel ricordo.
 -che tipo di ristorante volete? Un agriturismo.. un ristorante in montagna-
 -la sala deve essere grande e ampia. Insomma sarà un cenone di capodanno quindi si dovrà anche ballare e tutto il menù avrà il cacao-


Ecco, penso, questa si che è un’impresa, perché non tutti gli invitati amano certi accostamenti, per cui abbiamo i prossimi mesi per studiare dei piatti che possano accontentare la maggior parte dei palati.
Che poi alla fine il menu sarà questo
Millefoglie al cioccolato con crema di baccalà
Bignè di fonduta di toma di Lanzo al kirsch con scaglie di cioccolato
Agnolotti al cacao farciti di ricotta al profumo di agrumi
Tagliolini al cacao con gamberi e ananas
Polpettina di anatra al cioccolato su polenta

-ah, lei sarà dei nostri-, mi dice Federica d’impulso, -è capodanno e verrà accompagnata, vero?-
Si, io si,per forza. Il mio lui, forse, a un menu a base di cioccolato preferisce di gran lunga un piatto di pasta al ragù e un bicchiere di vino, vedremo di convincerlo.

Per la partecipazione gliene propongo una a tema scatola… si sa “la vita è una scatola  di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”.

L’abito, per entrambi riprenderà l’oro delle grandi occasioni. Per lei ricorderà la confezione increspata dei cioccolatini.



E per le bomboniere, niente di più adatto che regalare dei kit per gustarsi una fonduta al cioccolato. e poi una bella confettata con loro due in alto, su un trono di scatoline. 



martedì 21 marzo 2017

Un palpito dagl’occhi

È una piacevole giornata di aprile, una di quelle dove il sole ti invita fuori a prendere un caffè. E cosi decido di prendermi un caffè su una panchina, per lasciare liberi i miei pensieri di perdersi davanti al via vai di gente. Ho appena finito il mio caffè, quando una coppia attira la mia attenzione.
Lei con la divisa da capotreno e lui, un omone, stanno scendendo i gradini verso il marciapiede, quando lei rimane un pochino indietro a cercare qualcosa nella borsa, accortosi della mancanza della donna accanto, lui le allunga il braccio e la mano. Lei, come nulla fosse posa la mano sulla sua e scende i gradini, finché si ritrovano l'uno accanto all'altra e ancora mano nella mano proseguono la loro strada. Che gesti gentili esistono ancora al mondo, penso.
Il messaggio di un’amica mi riporta alla realtà ricordandomi che tra una ventina di minuti ho un appuntamento in negozio con una coppia.
Arrivo in negozio, alzo la saracinesca. Ho appena finito di preparare il tavolo, quando sento la porta aprirsi e li vedo entrare. Lei, Anna, una figura esile ma solida con la sua divisa da capotreno. Lui, Roberto, alto e robusto, con una testa di riccioli scuri come i sui occhi profondi, e un bel sorriso stampato in faccia.
Entrano ancora mano nella mano. Subito lei mi saluta scusandosi di venire a questo appuntamento ancora con le vesti da lavoro. Lui, nonostante la mole, mi saluta con una gentile stretta di mano e una voce ferma e pacata.
Figuriamoci, penso, io che adoro i treni oggi sarà divertentissimo.
Li faccio accomodare e lei inizia  sfogliare i cataloghi delle partecipazioni, raccontandomi qualcosa di loro e del loro matrimonio.
“avete già qualche idea del luogo o la data del matrimonio?” inizio a chiedere
“si, risponde lui, “ci sposeremo il primo giovedì di maggio”
“è stata un’idea di mio figlio” dice lei allegra “è in seconda elementare e da poco ha iniziato a studiare  i giorni della settimana e i mesi. E un giorno ha attaccato con la tiritera”.
Si guardano ridono e incominciano a ripetere all’unisono, con tono un pò infantile, “giovedì di maggio! giovedì di maggio! giovedì di maggio!”.
 “Continuava a ripeterlo, dice lei, “Così quando io e Roberto stavamo pensando a quando sposarci e Francesco è piombato in cucina urlando: giovedì di maggio!, abbiamo optato per quel giorno”.
“Per il luogo” prosegue Roberto “pensavamo al lago, abbiamo appena comprato una casa lì dove ci possiamo rifugiare appena possibile e vorremmo sposarci lì per poi prenderci una settimana per sistemare la casa”.




 “Diciamo che, visto che Roberto verrà a vivere con me e Francesco, quella casa la vogliamo considerare nostra, cioè è nostra. Ce la siamo scelti insieme e ce la vogliamo arredare insieme”.
Nel frattempo Anna ha chiuso il primo catalogo della partecipazioni e sta sfogliando il secondo.
“Ce ne sono tante, vero?” chiedo io per capire un po’ su che stile vorrebbe stare.
“Si, una più bella dell’altra”
“Possiamo iniziare a escluderne qualcuna, per esempio, visto che Lei già viaggia in treno, quelle a tema viaggio…”
“No, perché… è sul treno che io e Roberto ci siamo sconosciuti?
“Davvero?”
“si” prosegue Anna “io sono capotreno sulla linea Bergamo Milano. Un lavoro difficile, soprattutto negli ultimi tempi. A lei piacciono i treni?” mi chiede improvvisamente
“si, a modo mio li adoro”
“io no, ma con un figlio da crescere anche questo lavoro deve piacermi. Comunque tra un controllo e quell’altro conosco Roberto”
“Finanziere”, mi dice subito “e in quanto appartenente alle forze dell’ordine devo sempre avvisare il capotreno della mia presenza. Così abbiamo iniziato a scambiare qualche parola”
“Poi ci siamo persi un po’ di vista. A me avevano cambiato i turni, lui era fuori per lavoro. Non so come mai, ma mi rendevo che per quanto poco lo conoscessi mi mancava quella presenza. Finchè finalmente è tornato”.
Sarà un caso, ma nel frattempo lei si è fermata da un po’ su una partecipazione. Non gira più pagine.
Quando se ne rende conto la guarda e la accarezza.
“scelgo questa”, mi dice senza consultare Roberto. Che comunque ha uno sguardo di evidente approvazione. Anna riprende “dopo che è tornato ha iniziato a fare un gesto particolare. Quando dovevo scendere dal treno o le scale, lui mi dava la mano e lo fa ancora sa!?”
si che lo so. Avendoli visti prima nell’amorevole spontaneità di quel gesto.
“la vita sul treno” e finalmente risento la voce di Roberto “è difficile, con tutta la gente che c’è ora. E io voglio che sappia che potrà sempre contare su di me. Ma deve saperlo dalla mattina quando si sveglia, poi al lavoro e alla sera quando torna a casa. Fino a quando sta con Francesco e io non ci sono”.
Nella partecipazione che scelgono ci sono due mani, unite, quella di Roberto che mette l’anello al dito di Anna. Ecco perché la scelgono.



“Bomboniere?” cerco di proseguire.
“ah per quello ci divertiamo” dice Roberto “Tazze, ma non tazze normali. Tazze da tutte le città che abbiamo visitato per lavoro e per piacere!”



“ e l’abito?”
“Roberto vai a prenderci un caffè per favore?” dice Anna girandosi verso di lui
“certo cara”, lui si alza e va.
Una volta uscito lui, lei appoggia un gomito sul banco e, quasi a volermi confidare un segreto, mi dice piano “non voglio che lo sappia, voglio fargli una sorpresa. Perché non sarà il solito abito”
“ah no? E come sarà?”
“sarà un abito da sposa in jeans”
“in jeans?!” e strabuzzo veramente gli occhi.
“si, in jeans  e magari con un bel cappello! Per quanto lunghi o corti gli abiti da sposa sono sempre una divisa. E io ne indosso una tutti i giorni che mi fa sempre sentire cosi seria, ufficiale e inquadrata. Quando sto con lui, invece,  mi sento serena e libera dai mille pensieri di una vita da adulta.
Quindi voglio un abito allegro e fuori dagli schemi, che urli a tutti la sensazione di spensieratezza che provo quando sto con lui. Almeno per un pomeriggio vogli sentirmi una ragazzina di vent’anni, senza figli e responsabilità. E quel giorno dovrà essere cosi. Il mio abito sarà tutto fuorchè il classico abito”.
Proprio mentre finiva di spiegarmi queste cose, rientra Roberto i cui atteggiamenti misurati sembrano preludere al bacio che si da alla persona amata che da lungo tempo è mancata ai nostri abbracci. Di contro, vedendolo entrare, lo sguardo di lei da teso che era, come un battito diventa vispo e allegro e felice, un palpito del cuore tradotto dagli occhi.

E io non posso fare altro che mettermi a cercare un abito da sposa in jeans.



venerdì 17 marzo 2017

giovedì 16 marzo 2017

Mini Zuccheriere - idea regalo - bomboniera

Decalogo della giornata: 

Circondarsi di buoni amici

Credere nei sogni

Ridere più spesso 

Fare ciò che si ama

Scegliete la vostra per voi e i vostri amici :-)


lunedì 13 marzo 2017

L'intelligenza delle piccole cose

Correvano. “dai Marcello! Vieni! Muoviti!”.  Se c’era una cosa che Flavia non sopportava era essere in ritardo.
Come concordato però arrivano in negozio alle 14:00. O meglio Flavia entra, ricomponendosi. Mentre Marcello, dato l’ultimo tiro alla sua sigaretta, si guarda intorno alla ricerca di un portacenere, poi spegne la sigaretta ed entra.
“salve” mi dice Flavia affannata “io sono Flavia, abbiamo un appuntamento” dice lei perentoria.
“Buongiorno, io sono Marcello” mi saluta lui aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“si…Certo..Buongiorno!” risposi io sollevando la testa da una bomboniera.
Presa un po’ in contro piede dalla loro presentazione, mi propongo di offrire loro un caffè.
Mentre andiamo al bar, noto un sorriso complice tra i due.
“due ginseng in tazza grande” inizia Marcello “…e un caffè macchiato” conclude il barista.
Li guardo e mi piacciono subito. Mi incuriosisce il loro atteggiamento, sembrano due passeri appollaiati su un ramo che aspettano di scaldarsi al tepore del sole mentre si punzecchiano a vicenda con i becchi, ma con movimenti chiaramente affettuosi.
“Quando l’ho conosciuta, o meglio, la prima volta che ho avuto a che fare con lei” mi dice Marcello “eravamo davanti ad una macchinetta del caffè e io volevo offrirglielo. Ma lei mi guardo seccata, rispondendomi che non era un' idiota e che un caffè se lo poteva pagare anche da sola”. Macello diceva questo con gli occhi rivolti a Flavia, tra l’ammirato e l’innamorato.
Le lentiggini sul viso fresco di Flavia si confusero con il rossore del suo imbarazzo, “Ma io non sapevo chi tu fossi all’epoca” prosegue, quasi scusandosi ancora.
Questa è una di quelle storie dai tratti comuni, ma che si raccontano poco.
Marcello è il responsabile controllo qualità di un mobilificio, mentre lei una dipendente addetta alla tornitura dei pomoli.
Marcello mi introduce un po’ alla loro vita. Mentre Flavia, al di la dei suoi occhialoni, guarda timida intorno e poi guarda lui e qualche volta, discretamente, interviene.
“Il mio lavoro” continua Marcello “è quello di controllare tutti i processi delle varie fasi della produzione e che tutti i pezzi siano pronti per essere mandati prima alla verniciatura poi assemblaggio finale. Una cosa di cui mi resi conto dopo qualche giorno, sul conteggio tra gli  idonei e gli scartati, era che c’erano dei pezzi che non avevano scarti o difetti, a differenza di tutti gli altri di cui dovevo sempre rimandarne indietro qualcuno. Coincidenze, mi dicevo. Ma poi, a conti fatti, alla fine del mese non erano coincidenze, quanto piuttosto numeri che contano”.
“Nel frattempo” prosegue Marcello “avevo iniziato a conoscere i colleghi, tra cui Flavia: carattere schivo, capelli rossi, poche chiacchere e tanto lavoro”.
Qui iniziò lei “Ma sa come sono, a volte i colleghi… Di me non parlavano benissimo”.
“perché!?” esclamai stupita.
“bhe… perché mi consideravano un po’ stupida, lenta di comprendonio. Per via dei miei occhiali e del mio modo di fare taciturno”. Mi spiega Flavia che da piccola non vedeva bene a causa di un difetto alla vista che non le permetteva di leggere ciò  che i maestri scrivevano alla lavagna. Solo più tardi i sui genitori si accorsero del suo difetto e le comprarono degli occhiali. Ma ormai un certo danno era stato fatto, ormai l’avevano etichettata come stupida e questo l’aveva un po’ segnata.
Si ho capito com’è. Pensai. So che basta un niente alle persone che hai attorno per etichettarti. So che, anni fa, una cosa come la dislessia o la disgrafia non era valutata e corretta. E certe cose te le porti sempre dietro.
“Sa”, continua Marcello, “quando la vita continuamente ti attacca, alla fine l’unico modo che hai e che impari per difenderti è quello di prenderla alla sprovvista e attaccare subito. Flavia è stata talmente circondata dai pregiudizi che con me decise di mettere subito le cose in chiaro”. Ridono, di gusto.
“E poi?” chiedo io.
“Ah si…poi”, prosegue Marcello, “ho scoperto che era proprio lei a fare quei pezzi perfetti. La vedevo e la guardavo lavorare, con precisione e attenzione a rifinire le torniture. Quella non era stupidità, era bravura e capacità. Era una sarta dei mobili, la guardavo e non vedevo superficialità, ma la cura nei dettagli. Vedevo l’intelligenza delle piccole cose”.
Flavia arrossisce – “e cosi, un po’ alla volta, me ne sono innamorato, semplicemente. Di questa faccia tosta che si nasconde dietro questi timidi occhi verdi, di questo sguardo attento e preciso. E di lei”. Guardò Flavia, più rossa e timida che mai.
“E Lei Flavia?” chiedo ormai rapita dai loro teneri atteggiamenti.
“Mi ha fatto la corte, come si faceva ai vecchi tempi, con i fiori e… i caffè”.
Prendo il catalogo delle partecipazioni e chiedo loro come le vogliono. “Belle”, mi risponde d’istinto Flavia. E allora le scegliamo belle ma che richiamano comunque il loro mondo, quello dei mobili…. Belle.


-          "E per l’abito, ha già visto qualcosa?=
-          "Bello – dice Marcello – deve essere bello e unico e forte e deciso".
Strano, penso io, detto dal compagno
-          "A me piace molto l’azzurro, come il cielo e le nuvole" continua Flavia sognando a occhi aperti.
E abito azzurro come il cielo e le nuvole sia, con bouquet che richiama le stesse sfumature dei colori.



-          "lo scegliamo il ristorante?" – chiedo riportandoci sulla terra.
-          "Lo conosci un posto bello?" Mi chiede Flavia.
Già, penso io… un posto bello. Sul fiume, dove il canto della natura incontra quello del cielo e nuvole. Un posto bello.



La wedding cake non potrà che essere altrettanto bella, in linea con la bellezza per le piccole cose che mi sta ispirando Flavia




"Ah, per le bomboniere, se lei le può confezionare” mi dice Flavia “regaleremo delle miniature di mobili che…”
“… che fa lei” conclude Marcello facendomene vedere delle foto. “Non sono perfette?”

Perfette, precise, toste. e… Belle.




giovedì 9 marzo 2017

Quando ero bambino credevo in un angelo custode accanto a me. Ora credo di avercelo dentro.
(Erri De Luca)


martedì 7 marzo 2017

Blanco - un matrimonio al Sapore di Tango

Era un pomeriggio lungo e noioso. Poi, un po’ timidamente, entrano due ragazze che dopo aver sbirciato un po’ nel negozio e abbandonata l’iniziale timidezza, chiedendomi informazioni su delle partecipazioni che hanno visto sul catalogo.


Carlotta e Caterina, cosi si chiamano, specificano subito che a sposarsi sono loro due.

Presa un attimo in contropiede faccio qualche domanda, giusto per aiutarmi a capire che gusti hanno e indirizzarle al meglio, quando Carlotta, sfogliando il catalogo dei miei biglietti, richiama l’attenzione di Caterina su uno in particolare in cui ho rappresentato due scarpette da Tango.
- E’ grazie al tango che ci siamo conosciute-, mi dice Carlotta.
-       Ballerine? - Chiedo io
-       No, interviene la seconda, io sono una barista.
-       Beh, allora ditemi qualcosa e vediamo se riusciamo a fare del tango il tema del  vostro matrimonio

Cosi iniziano questo racconto
Caterina è una barlady e, per via del suo lavoro, mi spiega che incontra gente di tutti i tipi: da quelli che ci provano con lei al bar o che ci provano con altre, a quelli casinari e invadenti fino a tipi sempre soli e avvinazzati.
Un giorno una sua amica le chiese se poteva sostituirla quella domenica sera in un locale, dove avevano organizzato una serata di tango.  Lavorando nei week end in discoteca, era abituata a tutti i tipi di musica ma al tango non ci aveva mai pensato, e quindi accettò.
Una volta arrivata in discoteca e sistemata la sua posizione, si mise a osservare curiosa gli ospiti.  Le persone erano completamente differenti rispetto ai soggetti cui lei abituata a vedere. Solitamente non faceva caso a come si vestiva la gente. Lì, al contrario, ciò che la colpì d’istinto furono proprio i loro vestiti.
"Le persone, per venire a ballare tango si vestono bene e in modo curato e io non devo essere da meno", pensa Caterina guardando la sua maglietta e i sui pantaloni neri. Decidendo che dalla prossima volta avrebbe messo anche una giacca.
Quando ormai si è radunato un folto gruppo di persone il dj, fatti gli onori di casa, mette su il primo pezzo e gli ospiti in coppia entrano in pista. E’ in quel momento che la magia inizia.
Nonostante il ritmo fosse meno scatenato e serrato rispetto ad altre sere, quei pensieri la distraevano dal suo lavoro.  In più ogni qual volta il suo frenetico lavoro, le concede un momento di tranquillità lei si lascia rapire dai ballerini. I loro movimenti erano fatti di passettini, prima lenti e poi subito veloci. Comunque mai fatti a caso. Come mani esperte di una pianista che danzano sugli 88 tasti di un pianoforte. La musica la trasporta in un altro mondo, una cartolina anni 30 sbiadita. I suoi occhi si perdono in quelle figure perfette, in quei giri veloci. Si perdono negli occhi degli altri ospiti che non ballano.
Fu in uno di qui momenti che incrociò gli occhi di Carlotta. Lei, insegnante di tango, all’inizio si accorge di uno sguardo che scruta la sala, ma non capisce subito da dove proviene.
Deve arrivare la fine della serata, quando ormai ci sono pochi ospiti e Caterina torna rapita da quel mondo, che Carlotta lo riconosce. Era lo stesso sguardo, instriso di meraviglia che aveva lei quando ha assaggiato per la prima volta questo mondo.
Carlotta si avvicina a Caterina:
“sai ballarlo?”
“beh, no” risponde Caterina un po’imbarazzata… “da stasera sostituisco un’amica…. È la prima volta che lo sento e lo vedo ballare”
“ti va di provare? Guarda che è più semplice di quello che credi”.

È cosi che è iniziata questa magia tra loro…

Mi sveglio anche io da questo incantesimo e cerco di riportare questa magia nel loro matrimonio.
Si sposeranno un pomeriggio estivo  in una location cittadina con un bello spazio dove ballare.


Nella partecipazione, che mi fanno realizzare a mano e che rappresenta un bouquet di rose rosse, ci tengono a scrivere “per questa giornata di festa siete pregati di lasciare a casa ogni impulso di riserbo o sentimento di timidezza”. Mi spiegano che vogliono regalare ai loro invitati una lezione di tango full day, vogliono far assaporare loro il gusto del tango che, finché non lo assaggi, non sai com’è



Chiedo qualcosa sull’abito e, un po’ a sorpresa, mi dicono che vorrebbero lo stesso abito corto, total white, dal volume comodo ed elegante per ballare, con un paio di scarpette molto originali 



Per il bouquet me ne chiedono due, di rose di carta, rosse  e lo stesso stile lo rivogliono sull’acconciatura.



Parliamo, già che ci siamo delle bomboniere e facciamo qualcosa di veramente insolito (anche in considerazione del fatto che gli invitati non sono molti): mi chiedono di ordinare dei libri sul tango e dei ricettari di cocktail. 




Un modo per ricordare il loro primo incontro e perché, mi dice Caterina “io, il tango, lo vivo sempre la notte, quando tutti abbandonano nel locale la loro magia, io e Carlotta ce la prendiamo, quella magia. Tra un passo e l’altro ce ne nutriamo, è il momento più bello. Io dismetto i miei panni da barista e divento ballerina. Carlotta non è più l’insegnante ma torna a essere la mia compagna. E d'improvviso di accorgi di essere qualcosa in più te stessa..."

Qualcosa in più di te stessa... Quando loro escono dal negozio, chiudo un attimo ed esco a fare due passi nei primi caldi primaverili. Come torno in negozio, la prima cosa che faccio è digitare su Google “corsi tango argentino Treviglio”.