Correvano.
“dai Marcello! Vieni! Muoviti!”. Se
c’era una cosa che Flavia non sopportava era essere in ritardo.
Come
concordato però arrivano in negozio alle 14:00. O meglio Flavia entra, ricomponendosi.
Mentre Marcello, dato l’ultimo tiro alla sua sigaretta, si guarda intorno alla
ricerca di un portacenere, poi spegne la sigaretta ed entra.
“salve”
mi dice Flavia affannata “io sono Flavia, abbiamo un appuntamento” dice lei
perentoria.
“Buongiorno, io sono Marcello” mi saluta lui aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“si…Certo..Buongiorno!”
risposi io sollevando la testa da una bomboniera.
Presa un po’ in contro piede dalla loro presentazione, mi propongo di offrire loro un
caffè.
Mentre
andiamo al bar, noto un sorriso complice tra i due.
“due
ginseng in tazza grande” inizia Marcello “…e un caffè macchiato” conclude il barista.
Li
guardo e mi piacciono subito. Mi incuriosisce il loro atteggiamento, sembrano
due passeri appollaiati su un ramo che aspettano di scaldarsi al tepore del
sole mentre si punzecchiano a vicenda con i becchi, ma con movimenti
chiaramente affettuosi.
“Quando
l’ho conosciuta, o meglio, la prima volta che ho avuto a che fare con lei” mi
dice Marcello “eravamo davanti ad una macchinetta del caffè e io volevo
offrirglielo. Ma lei mi guardo seccata, rispondendomi che non era un' idiota e
che un caffè se lo poteva pagare anche da sola”. Macello diceva questo con gli
occhi rivolti a Flavia, tra l’ammirato e l’innamorato.
Le
lentiggini sul viso fresco di Flavia si confusero con il rossore del suo
imbarazzo, “Ma io non sapevo chi tu fossi all’epoca” prosegue, quasi scusandosi
ancora.
Questa
è una di quelle storie dai tratti comuni, ma che si raccontano poco.
Marcello
è il responsabile controllo qualità di un mobilificio, mentre lei una
dipendente addetta alla tornitura dei pomoli.
Marcello
mi introduce un po’ alla loro vita. Mentre Flavia, al di la dei suoi occhialoni,
guarda timida intorno e poi guarda lui e qualche volta, discretamente,
interviene.
“Il mio
lavoro” continua Marcello “è quello di controllare tutti i processi delle varie
fasi della produzione e che tutti i pezzi siano pronti per essere mandati prima
alla verniciatura poi assemblaggio finale. Una cosa di cui mi resi conto dopo
qualche giorno, sul conteggio tra gli
idonei e gli scartati, era che c’erano dei pezzi che non avevano scarti
o difetti, a differenza di tutti gli altri di cui dovevo sempre rimandarne
indietro qualcuno. Coincidenze, mi dicevo. Ma poi, a conti fatti, alla fine del
mese non erano coincidenze, quanto piuttosto numeri che contano”.
“Nel
frattempo” prosegue Marcello “avevo iniziato a conoscere i colleghi, tra cui
Flavia: carattere schivo, capelli rossi, poche chiacchere e tanto lavoro”.
Qui
iniziò lei “Ma sa come sono, a volte i colleghi… Di me non parlavano
benissimo”.
“perché!?”
esclamai stupita.
“bhe…
perché mi consideravano un po’ stupida, lenta di comprendonio. Per via dei miei
occhiali e del mio modo di fare taciturno”. Mi spiega Flavia che da piccola non
vedeva bene a causa di un difetto alla vista che non le permetteva di leggere
ciò che i maestri scrivevano alla
lavagna. Solo più tardi i sui genitori si accorsero del suo difetto e le
comprarono degli occhiali. Ma ormai un certo danno era stato fatto, ormai
l’avevano etichettata come stupida e questo l’aveva un po’ segnata.
Si
ho capito com’è. Pensai. So che basta un niente alle persone che hai attorno
per etichettarti. So che, anni fa, una cosa come la dislessia o la disgrafia
non era valutata e corretta. E certe cose te le porti sempre dietro.
“Sa”,
continua Marcello, “quando la vita continuamente ti attacca, alla fine l’unico
modo che hai e che impari per difenderti è quello di prenderla alla sprovvista
e attaccare subito. Flavia è stata talmente circondata dai pregiudizi che con
me decise di mettere subito le cose in chiaro”. Ridono, di gusto.
“E
poi?” chiedo io.
“Ah
si…poi”, prosegue Marcello, “ho scoperto che era proprio lei a fare quei pezzi
perfetti. La vedevo e la guardavo lavorare, con precisione e attenzione a
rifinire le torniture. Quella non era stupidità, era bravura e capacità. Era
una sarta dei mobili, la guardavo e non vedevo superficialità, ma la cura nei
dettagli. Vedevo l’intelligenza delle piccole cose”.
Flavia
arrossisce – “e cosi, un po’ alla volta, me ne sono innamorato, semplicemente.
Di questa faccia tosta che si nasconde dietro questi timidi occhi verdi, di
questo sguardo attento e preciso. E di lei”. Guardò Flavia, più rossa e timida
che mai.
“E
Lei Flavia?” chiedo ormai rapita dai loro teneri atteggiamenti.
“Mi
ha fatto la corte, come si faceva ai vecchi tempi, con i fiori e… i caffè”.
Prendo
il catalogo delle partecipazioni e chiedo loro come le vogliono. “Belle”, mi
risponde d’istinto Flavia. E allora le scegliamo belle ma che richiamano
comunque il loro mondo, quello dei mobili…. Belle.
- "E per l’abito, ha già visto qualcosa?=
- "Bello – dice Marcello – deve essere bello e
unico e forte e deciso".
Strano,
penso io, detto dal compagno
- "A me piace molto l’azzurro, come il cielo e le
nuvole" continua Flavia sognando a occhi aperti.
E abito azzurro come il cielo e le nuvole sia, con bouquet
che richiama le stesse sfumature dei colori.
- "lo scegliamo il ristorante?" – chiedo
riportandoci sulla terra.
- "Lo conosci un posto bello?" Mi chiede Flavia.
Già, penso io… un posto bello. Sul fiume, dove il canto
della natura incontra quello del cielo e nuvole. Un posto bello.
La wedding cake non potrà che essere altrettanto bella, in linea con la bellezza per le piccole cose che mi sta ispirando Flavia
"Ah, per le bomboniere, se lei le può confezionare” mi dice Flavia
“regaleremo delle miniature di mobili che…”
“… che fa lei” conclude Marcello facendomene vedere delle
foto. “Non sono perfette?”
Perfette, precise, toste. e… Belle.
Bello il matrimonio colorato!
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